La solitudine del Grigio

Se c’è un insegnamento al quale nessuno sfugge, è che i fatti della vita non ci permettono di fare scelte secondo una logica di “o bianco o nero”. Spesso sono le tonalità di grigio a farla da padrone in troppi ambiti. Il grigio a volte permette di andare avanti, e tanto per fare un esempio ciò accade nei posti di lavoro: quanti compromessi con noi stessi accettiamo perché la necessità di portare a casa un’entrata sicura, non ci permette di scegliere veramente? Gli obblighi sociali ne sono un altro esempio: a volte vorremmo mandare a quel paese alcuni interlocutori ma le circostanze ci “suggeriscono” di non farlo.

Poi però, ci sono situazioni dove nel grigio più intenso ci si ritrova nostro malgrado. E’ un tipo di grigio anche molto subdolo, perché all’inizio è travestito da bianco, ma giorno dopo giorno si rivela per ciò che è, aumentando di intensità.

Queste situazioni hanno a che fare con il cuore, con i rapporti di coppia. Trovarsi invischiati in storie difficili è quanto di più semplice possa accadere, soprattutto di questi tempi, dove la facilità di comunicazione tecnologica, permette di bypassare degli ostacoli, quando ad esempio si parla di relazioni clandestine. E voglio soffermarmi proprio su questo tipo di relazioni per parlare di grigio, perché nella maggior parte dei casi, in questo tipo di relazioni c’è una parte forte, che si trova a proprio agio senza particolari ansie, ed una molto più debole, che vive secondo i tempi dettati dall’altra parte. Normalmente la parte forte è quella che è già inserita in un rapporto di coppia ufficiale, dal quale fugge ripetutamente, secondo i propri impulsi, con la consapevolezza che c’è una casa dove poter sempre far ritorno: anzi facciamo una cosa, sostituiamo la parola forte con “egoista”, lo trovo più corretto. In questa riflessione non mi interessa fare valutazioni sul perché si fugge, anche perché mi interessa porre l’accento, sull’altra parte. L’altra parte, dicevo, è quella debole, quella che vive di risulta secondo i tempi dettati dalla “parte egoista”. Per quanti bei momenti insieme potranno vivere queste due parti, ce n’è sempre una, la seconda, che sarà obbligata a viverne da sola tanti altri senza che possa decidere altrimenti. Questi sono i momenti del GRIGIO.

All’inizio di queste storie, parlo di quelle che durano anni e anni, c’è la speranza che la composizione possa cambiare, che “l’egoista” lasci il nido principale per crearne uno nuovo con il “grigio”. Ma nella stragrande maggioranza dei casi questo non avviene, e anche se il “grigio” percepisce l’immutabilità della situazione, continua a far finta (con se stesso) di crederci fino a quando il tempo trascorso non sia così tanto da averlo definitivamente imprigionato dentro questo non rapporto.

Le domeniche, i giorni di festa, i Natali, i compleanni non splendono di colore e allegria, non si accendono di un fuoco che alimenta il rapporto, non regalano foto di momenti incancellabili; bensì restano ammantati di una solitudine pervasa di grigio molto più intenso tanti più sono gli anni trascorsi. Eppure basta una cena insieme “all’egoista”, una gita, un supporto nelle faccende quotidiane, una telefonata, una colazione, per far sì che il grigio diventi accettabile, sempre nella speranza che torni ad assomigliare ad un colore vicino al bianco: ma non succede mai.

 Sia ben chiaro, NON SI TRATTA DI GIUDICARE: al contrario, nella mia professione è proprio il venire in contatto con certe esperienze, devastanti ahimè solo per una delle due parti di questo gioco, che mi fa accendere i riflettori su chi subisce il peso di questa solitudine.  Ripeto, non entro nell’analisi delle dinamiche sovrastanti il crearsi di queste situazioni: l’obiettivo è di far sapere ai “Grigi” che hanno ancora uno spazio per ricolorare la propria vita, senza sentirsi loro quelli sbagliati. E ne parlerò in un prossimo articolo. Concludo con le parole di una persona che sta facendo sforzi enormi per riprendersi la propria identità, che ho avuto l’onore di poter leggere ed ovviamente l’autorizzazione a riportarle, inutile dirlo, proteggendone la privacy.

Quanto amaro in bocca. Come si può buttare una vita? Le mie amiche mi dicono brava, hai fatto bene. Quelle di loro che hanno avuto accanto un uomo che si prende cura di loro, è rimasta una vita. Giornate diverse, giornate in cui potersi sentire ancora vive. Io non ho più nulla. Meno e ancora meno di quel poco che avevo, di quel poco che mi faceva dire sono VIVA. E tutti a dirmi brava.

Ma brava di che? Di essermi rovinata la vita dietro a un amore che amore vero, pulito non sarà mai? Brava di che? Di essere già morta mentre cerco di arrancare un giorno dopo l’altro. So che è il percorso giusto. Ma poi chi decide cosa è giusto? La verità è che non sopporto dividere nulla con nessuno. Deve essere tutto mio. O non può esserci nulla. Basta accontentarmi.

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