….O DAI GIOCHI DI RUOLO, OVVERO QUANDO ALLO SPECCHIO VEDIAMO RIFLESSO IL NOSTRO AVATAR.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha di recente adottato l’undicesima revisione della classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi sanitari connessi (ICD-11), Sempre molto attenta alle evoluzioni delle nostre abitudini, l’Oms ha voluto introdurre il Gaming Disorder nell’ICD-11 all’interno della sezione relativa ai disturbi del comportamento legati alle dipendenze riconoscendolo, quindi, come una vera e propria malattia.
Nel DSM 5 l’Internet Gaming Disorder è definito come l’uso ricorrente e persistente di internet per giocare, spesso insieme ad altri giocatori, che porta a un disagio clinicamente significativo identificato da una serie di sintomi presentati nell’arco di 12 mesi:
• la persona pensa continuamente all’attività di gioco precedente o anticipa le successive partite e il gioco online diventa l’attività quotidiana predominante;
• nel suo comportamento si assiste alla comparsa di ritiro (manifestato attraverso irritabilità, ansia o tristezza) quando gli o le viene tolta la possibilità di giocare;
• compare un bisogno crescente di spendere quantità maggiori di tempo impegnato a giocare;
• la persona ha affrontato tentativi infruttuosi di controllare l’attività di gioco, ha perso interesse in tutte le sue attività e gli hobby eccetto il gioco online, utilizza continuativamente internet e i giochi nonostante la consapevolezza dei problemi psicosociali ad essi legati;
• 𝐥𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚 𝐡𝐚 𝐢𝐧𝐠𝐚𝐧𝐧𝐚𝐭𝐨 𝐦𝐞𝐦𝐛𝐫𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐚𝐦𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚, 𝐚𝐦𝐢𝐜𝐢 𝐞 𝐭𝐞𝐫𝐚𝐩𝐞𝐮𝐭𝐢 𝐨 𝐦𝐞𝐝𝐢𝐜𝐢 𝐫𝐞𝐥𝐚𝐭𝐢𝐯𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐭𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐬𝐩𝐞𝐬𝐚 𝐬𝐮 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐞𝐭;
• utilizza il gioco online per evitare sentimenti, pensieri o umori negativi;
• ha messo a repentaglio una relazione significativa, il suo lavoro o la sua carriera scolastica a causa dell’utilizzo di internet per giocare online.
Quanto premesso, riguarda la pratica dei giochi interattivi virtuali MUD’s (Multi User Dungeon) o RPG (role-playing-game), in breve giochi di ruolo on line, nei quali i giocatori interagiscono e partecipano all’attività ludica contemporaneamente.
Quando si entra in una realtà virtuale si ha la possibilità di costruire una nuova identità che oltre a permettere alle persone di esprimersi liberamente, rende estremamente facile esplicitare tutte quelle caratteristiche somatiche e comportamentali che si vorrebbero presenti nella vita reale. Nell’ambito della realtà virtuale del gioco infatti, il soggetto si costruisce una nuova identità che consente di essere la persona che si vorrebbe essere nella vita reale e di relazionarsi con altri giocatori con modalità che nel vivere reale quotidiano non verrebbero mai usate.
Questa “altra” vita può essere talmente coinvolgente da assumere più rilevanza rispetto a quella reale. In questo caso, la persona vive un vero e proprio sdoppiamento e manifesta sempre più il bisogno di trasformarsi nel personaggio virtuale sul quale proietta tutti i desideri e le illusioni.
Tra coloro che sono appassionati di giochi di ruolo virtuali che tendono con maggior frequenza a sviluppare una vera e propria dipendenza vi sono soprattutto persone con bassa autostima e con timidezza accentuata. Il rischio è esattamente quello di cadere nella trappola del cambio di identità, che come detto consentirebbe di liberare parti della personalità inespresse e che difficilmente si riuscirebbe a mostrare nella vita reale.
La dipendenza da videogiochi nasce dal tentativo di controllare e stabilire le leggi dell’unica realtà investita e accessibile: la realtà virtuale del gioco che arriva persino ad essere scambiata con quella fuori dal gioco (La Barbera, 2009). La persona che si ritrova “prigioniera” di questa situazione, tende sempre più ad identificarsi con il personaggio-eroe del videogame, alimentando una sorta di confusione sottile tra la realtà e il mondo virtuale dello schermo.
Come per le altre “addictions”, è importante distinguere tra un normale uso ludico e di svago, da comportamenti associati a vera e propria dipendenza che sottraggono una grande quantità di ore alle altre normali attività quotidiane, sia che si tratti di attività fisiche sia di attività dedicate alle relazioni sociali. Non solo, spesso si va ad incidere sui normali ritmi sonno-veglia con conseguenti problemi di concentrazione a scuola per bambini e ragazzi o nel lavoro per gli adulti. E’ proprio il mondo degli adulti a colpire per la rilevanza del problema.
𝑵𝒆𝒍𝒍’𝒂𝒏𝒂𝒍𝒊𝒛𝒛𝒂𝒓𝒆 𝒊𝒍 𝒇𝒆𝒏𝒐𝒎𝒆𝒏𝒐 𝒃𝒊𝒔𝒐𝒈𝒏𝒂 𝒑𝒆𝒓𝒐̀ 𝒑𝒂𝒓𝒕𝒊𝒓𝒆 𝒅𝒂 𝒖𝒏 𝒑𝒓𝒆𝒔𝒖𝒑𝒑𝒐𝒔𝒕𝒐 𝒂 𝒎𝒊𝒐 𝒂𝒗𝒗𝒊𝒔𝒐 𝒊𝒓𝒓𝒊𝒏𝒖𝒏𝒄𝒊𝒂𝒃𝒊𝒍𝒆: 𝒏𝒐𝒏 𝒄’𝒆̀ 𝒅𝒊𝒑𝒆𝒏𝒅𝒆𝒏𝒛𝒂 𝒔𝒆 𝒏𝒐𝒏 𝒄’𝒆̀ 𝒒𝒖𝒂𝒍𝒄𝒐𝒔𝒂 𝒄𝒉𝒆 𝒍𝒂 𝒇𝒂𝒗𝒐𝒓𝒊𝒔𝒄𝒆 𝒅𝒂𝒍𝒍’𝒆𝒔𝒕𝒆𝒓𝒏𝒐.
E’ indubbio che via siano dei meccanismi utilizzati dalle società di videogiochi per spingere l’utenza ad utilizzare sempre di più i propri prodotti, tra cui il 𝑙𝑜𝑜𝑡𝑖𝑛𝑔, un premio offerto ai giocatori, come ricompensa o a pagamento, che migliora le prestazioni nel videogioco.
𝐆𝐢𝐮𝐬𝐞𝐩𝐩𝐞 𝐑𝐢𝐯𝐚, ordinario di Psicologia Generale all’Università del Sacro Cuore, illustra all’interno di un articolo online su 𝑎𝑔𝑒𝑛𝑑𝑎𝑑𝑖𝑔𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒.𝑒𝑢 i meccanismi che si celano dietro al gaming disorder: “𝑢𝑛𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑠𝑜𝑐𝑖𝑒𝑡𝑎̀ 𝑎𝑚𝑒𝑟𝑖𝑐𝑎𝑛𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑖 𝑜𝑐𝑐𝑢𝑝𝑎 𝑒𝑠𝑝𝑙𝑖𝑐𝑖𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑖 𝑚𝑒𝑐𝑐𝑎𝑛𝑖𝑠𝑚𝑖 𝑒̀ 𝐷𝑜𝑝𝑎𝑚𝑖𝑛𝑒 𝐿𝑎𝑏𝑠, 𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑜𝑝𝑜 𝑙𝑒 𝑝𝑜𝑙𝑒𝑚𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑒𝑔𝑎𝑡𝑒 𝑎𝑙𝑙’𝑒𝑡𝑖𝑐𝑖𝑡𝑎̀ 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑜 ℎ𝑎 𝑐𝑎𝑚𝑏𝑖𝑎𝑡𝑜 𝑛𝑜𝑚𝑒 𝑖𝑛 𝐵𝑜𝑢𝑛𝑑𝑙𝑒𝑠𝑠 𝑀𝑖𝑛𝑑 𝑒𝑑 𝑒̀ 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑎 𝑟𝑒𝑐𝑒𝑛𝑡𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑎𝑐𝑞𝑢𝑖𝑠𝑡𝑎𝑡𝑎 𝑑𝑎 𝑇ℎ𝑟𝑖𝑣𝑒 𝐺𝑙𝑜𝑏𝑎𝑙. 𝐶𝑜𝑚𝑒 𝑠𝑐𝑟𝑖𝑣𝑒𝑣𝑎 𝑙𝑎 𝑠𝑜𝑐𝑖𝑒𝑡𝑎̀ 𝑠𝑢𝑙 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 𝑠𝑖𝑡𝑜: «𝐸𝑛𝑡𝑟𝑎𝑡𝑒 𝑒 𝑣𝑖𝑟𝑎𝑙𝑖𝑡𝑎̀ 𝑑𝑖𝑝𝑒𝑛𝑑𝑜𝑛𝑜 𝑑𝑎𝑙 𝑐𝑜𝑖𝑛𝑣𝑜𝑙𝑔𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑒 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑓𝑖𝑑𝑒𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒. 𝐷𝑖𝑣𝑒𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑙’𝑎𝑏𝑖𝑡𝑢𝑑𝑖𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑢𝑡𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑒̀ 𝑛𝑒𝑐𝑒𝑠𝑠𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑙𝑎 𝑠𝑜𝑝𝑟𝑎𝑣𝑣𝑖𝑣𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑢𝑛’𝑎𝑝𝑝. 𝐹𝑜𝑟𝑡𝑢𝑛𝑎𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒, 𝑙𝑒 𝑎𝑏𝑖𝑡𝑢𝑑𝑖𝑛𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑔𝑟𝑎𝑚𝑚𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖: 𝑓𝑎𝑐𝑐𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑐𝑖𝑜̀ 𝑝𝑒𝑟 𝑐𝑢𝑖 𝑠𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑟𝑖𝑛𝑓𝑜𝑟𝑧𝑎𝑡𝑖. 𝐶𝑖𝑜̀ 𝑐ℎ𝑒 𝑐𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑖𝑧𝑖𝑎. 𝑂𝑡𝑡𝑒𝑛𝑒𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑟𝑖𝑛𝑓𝑜𝑟𝑧𝑜 𝑔𝑖𝑢𝑠𝑡𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑒̀ 𝑓𝑜𝑟𝑡𝑢𝑛𝑎, 𝑒̀ 𝑠𝑐𝑖𝑒𝑛𝑧𝑎. 𝑁𝑒𝑢𝑟𝑜𝑠𝑐𝑖𝑒𝑛𝑧𝑒, 𝑖𝑛 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑐𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒»
Boundless Mind e le altre società che lavorano in questo settore “𝑐𝑒𝑟𝑐𝑎𝑛𝑜 𝑑𝑖 𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎𝑟𝑒 𝑢𝑛 𝑐𝑖𝑐𝑙𝑜 𝑑𝑖 𝑟𝑒𝑡𝑟𝑜𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑔𝑟𝑎𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑎𝑢𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑙𝑖𝑣𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑖 𝑑𝑜𝑝𝑎𝑚𝑖𝑛𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑠𝑜𝑔𝑔𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑑𝑢𝑟𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑙’𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑖𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑡𝑒𝑐𝑛𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖𝑐𝑎”, continua Riva: “𝐼𝑙 𝑚𝑒𝑐𝑐𝑎𝑛𝑖𝑠𝑚𝑜 𝑎 𝑔𝑟𝑎𝑛𝑑𝑖 𝑙𝑖𝑛𝑒𝑒 𝑒̀ 𝑖𝑙 𝑠𝑒𝑔𝑢𝑒𝑛𝑡𝑒. 𝑃𝑟𝑖𝑚𝑎 𝑠𝑖 𝑖𝑑𝑒𝑛𝑡𝑖𝑓𝑖𝑐𝑎 𝑙’𝑒𝑙𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙’𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑖𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑡𝑒𝑐𝑛𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖𝑐𝑎 𝑖𝑛 𝑔𝑟𝑎𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎𝑟𝑒 𝑢𝑛 𝑎𝑢𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑙𝑖𝑣𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑑𝑜𝑝𝑎𝑚𝑖𝑛𝑎, 𝑛𝑒𝑢𝑟𝑜𝑡𝑟𝑎𝑠𝑚𝑒𝑡𝑡𝑖𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑐ℎ𝑒 ℎ𝑎 𝑢𝑛 𝑟𝑢𝑜𝑙𝑜 𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑑𝑒𝑡𝑒𝑟𝑚𝑖𝑛𝑎𝑟𝑒 𝑑𝑎𝑙 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑣𝑖𝑠𝑡𝑎 𝑒𝑚𝑜𝑡𝑖𝑣𝑜 𝑖𝑙 𝑙𝑖𝑣𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑖𝑎𝑐𝑒𝑟𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢𝑖𝑡𝑜 𝑎 𝑢𝑛’𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑖𝑒𝑛𝑧𝑎: 𝑚𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜𝑟𝑒 𝑒̀ 𝑖𝑙 𝑙𝑖𝑣𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑖 𝑑𝑜𝑝𝑎𝑚𝑖𝑛𝑎, 𝑚𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜𝑟𝑒 𝑒̀ 𝑖𝑙 𝑝𝑖𝑎𝑐𝑒𝑟𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢𝑖𝑡𝑜 𝑎𝑑 𝑢𝑛𝑎 𝑑𝑒𝑡𝑒𝑟𝑚𝑖𝑛𝑎𝑡𝑎 𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑖𝑒𝑛𝑧𝑎. 𝐼𝑛 𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎𝑙𝑒 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑖 𝑚𝑒𝑐𝑐𝑎𝑛𝑖𝑠𝑚𝑖 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑚𝑝𝑒𝑛𝑠𝑎 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑖𝑙 𝑙𝑜𝑜𝑡𝑖𝑛𝑔. 𝑃𝑜𝑖 𝑠𝑖 𝑐𝑒𝑟𝑐𝑎 𝑑𝑖 𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑎𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑚𝑒𝑐𝑐𝑎𝑛𝑖𝑠𝑚𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑎𝑠𝑠𝑜𝑐𝑖𝑛𝑜 𝑖𝑛 𝑚𝑎𝑛𝑖𝑒𝑟𝑎 𝑐𝑎𝑠𝑢𝑎𝑙𝑒 𝑙𝑎 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑚𝑝𝑒𝑛𝑠𝑎 𝑎𝑙𝑙’𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑖𝑒𝑛𝑧𝑎. 𝑀𝑒𝑛𝑜 𝑝𝑢𝑜̀ 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑝𝑟𝑒𝑣𝑖𝑠𝑡𝑜, 𝑎 𝑝𝑟𝑖𝑜𝑟𝑖 𝑑𝑎𝑙𝑙’𝑢𝑡𝑒𝑛𝑡𝑒, 𝑙’𝑜𝑡𝑡𝑒𝑛𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑚𝑝𝑒𝑛𝑠𝑎, 𝑚𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜𝑟𝑒 𝑠𝑎𝑟𝑎̀ 𝑖𝑙 𝑙𝑖𝑣𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑖 𝑑𝑜𝑝𝑎𝑚𝑖𝑛𝑎 𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑚𝑝𝑒𝑛𝑠𝑎.
𝐼𝑛𝑓𝑖𝑛𝑒, 𝑠𝑖 𝑐𝑒𝑟𝑐𝑎 𝑑𝑖 𝑎𝑡𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢𝑖𝑟𝑒 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑚𝑝𝑒𝑛𝑠𝑎 𝑢𝑛 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑠𝑜𝑐𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑎 𝑎𝑡𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢𝑖𝑟𝑒 𝑎𝑙 𝑠𝑜𝑔𝑔𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑢𝑛𝑜 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑢𝑠 𝑑𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑑𝑎 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖 𝑢𝑡𝑒𝑛𝑡𝑖: 𝑠𝑒 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎 𝑒𝑟𝑖 𝑢𝑛 𝑢𝑡𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑏𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑙𝑖𝑣𝑒𝑙𝑙𝑜, 𝑝𝑜𝑖 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑢𝑡𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑡𝑜 𝑒 𝑖𝑛𝑓𝑖𝑛𝑒 𝑢𝑡𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑠𝑢𝑝𝑒𝑟. 𝑄𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜, 𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎 𝑢𝑛 𝑚𝑒𝑐𝑐𝑎𝑛𝑖𝑠𝑚𝑜 𝑑𝑖 𝑟𝑒𝑡𝑟𝑜𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒, 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑟𝑜𝑔𝑟𝑒𝑠𝑠𝑖𝑣𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑠𝑝𝑖𝑛𝑔𝑒𝑟𝑎̀ 𝑙’𝑢𝑡𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑎𝑑 𝑎𝑢𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑙𝑎 𝑓𝑟𝑒𝑞𝑢𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑒 𝑙𝑎 𝑑𝑢𝑟𝑎𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑧𝑧𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑟𝑖𝑢𝑠𝑐𝑖𝑟𝑒 𝑎 𝑚𝑎𝑛𝑡𝑒𝑛𝑒𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑙𝑖𝑣𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑖𝑎𝑐𝑒𝑟𝑒 𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑒 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑒 𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑖𝑒𝑛𝑧𝑒”.
Ritornando ai problemi provocati dal Gaming Disorder, la possibilità di estraniarsi da situazioni stressanti o problematiche, l’accesso a mondi sensoriali straordinari e appaganti, si aggiunge l’attrattiva di una fase iniziale di “innamoramento” in cui il consumatore di esperienze virtuali scopre l’ingresso in un mondo altamente gratificante rispetto ai propri bisogni, con sfide, avventure, esplorazioni di nuovi mondi virtuali. Tuttavia l’uso eccessivo e distorto di questi dispositivi tecnologici e la fruizione delle molteplici esperienze rese possibili, nel tempo può dar luogo in ambito clinico a sintomi di sofferenza, con condotte disadattive o compulsive che alla lunga contribuiscono al rischio di un danno alla sfera emotiva e soprattutto a quella relazionale.
Da diversi anni, ormai, gli studi mostrano come la dipendenza da giochi online sia associata a gravi conseguenze per la salute psicofisica della persona: drastica riduzione delle relazioni interpersonali, riduzione/assenza di hobbies, cattiva igiene del sonno, calo delle prestazioni lavorative, calo nelle prestazioni accademiche, calo nelle abilità attentive aumento dell’aggressività e dell’ostilità, aumento dello stress, calo della memoria verbale, aumento della solitudine, aumento di peso.
Griffiths (Griffiths, 2005) spiega le 6 componenti che costituiscono il processo bio – psico – sociale che porta alla dipendenza: a livello comportamentale, la persona è totalmente assorbita dal gioco, il gioco è un modo per fuggire dalla realtà e permette di provare emozioni piacevoli, la persona ha bisogno di prolungare il tempo passato a giocare per sentire gli effetti positivi su di sé (emozioni piacevoli), la persona si sente ansiosa, depressa e irritabile se non può giocare emerge un significativo ritiro sociale, nonostante la persona capisca la gravità della sua situazione e smetta per un po’ di giocare, non riesce mai ad interrompere completamente
Da un punto di vista delle relazioni interpersonali, chi soffre di dipendenza da giochi online preferisce passare il suo tempo con gli amici conosciuti in rete ed è portato a credere che queste relazioni siano molto più vere e intense rispetto a quelle della vita reale.
Nella psicoterapia, esistono percorsi di recupero specifici per gli adulti ma la difficoltà principale sta proprio nel chiedere aiuto in quanto la consapevolezza arriva in ritardo. Non c’è una figura autoritaria che può intervenire. L’iniziativa deve partire dal soggetto dipendente che molto spesso è tutt’altro che lucido. I giochi online, soprattutto quelli di ruolo, mangiano la testa e ci si racconta un mare di bugie per giustificarsi.
𝑫𝒐𝒕𝒕. 𝑹𝒐𝒅𝒐𝒍𝒇𝒐 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒐𝒕𝒕𝒊